Nelle periferie delle città grandi, in pieno agosto, si raccolgono nei pochi bar aperti quelle anime che non hanno vacanze o ci andranno tardi, come me.
E se la mattina ci trovi ancora dei sorrisi su quelle facce che prendono caffè (che il mattino è una promessa per tutti, si sa) nel primo, caldissimo, pomeriggio quelle facce sono assenti, contratte nell’esercizio dell’attesa che il tempo si consumi. Qualcosa fra la tristezza e la rassegnazione si spalma su quei volti.
Li guardo tanto e voglio loro del bene, del bene sincero.
Poi, nei pomeriggi come questo, mentre scruto di sbieco queste anime, incrocio sempre lo sguardo di qualcuno che mi fissa. E alla fine spero – e ci spero davvero – che anche lui, visto che siamo condannati a condividere un tempo sbagliato in un posto sbagliato, mi voglia del bene istintivo, provi passione e compassione per un’anima che non conosce ma con la quale condivide questa specie di purgatorio.
Spero però che non mi rivolga la parola. Quello rappresenterebbe il salto definitivo dal purgatorio all’inferno, per me.