Repubblica passa dalla Famiglia De Benedetti alla Famiglia Agnelli.
Un po’ di tempo fa, non avendo una famiglia del capitalismo italiano alle spalle, ha chiuso L’Unità.
La somma di questi due avvenimenti, per me, conclude un’epoca personale.
Di certo Repubblica continuerà ad esistere, ma come ho smesso di amarla negli ultimi anni, vederla ora rientrare nell’orbita dei giornali che era nata per battere mi aiuta a tirare una linea e fare i conti con la sparizione dei miei giornali. Una questione non tanto razionale, quanto affettiva.
Sono cresciuto con Repubblica e l’Unità che ogni giorno si prendevano all’edicola nel tragitto verso scuola. Li rivedevo poi il pomeriggio, con L’Unità un po’ più spiegazzata di Repubblica perché più grande nel formato e con meno pagine. Siamo all’inizio dei ’90 per intenderci. E come me, molti miei coetanei hanno avuto un rapporto intimo con quelle pagine, hanno scoperto il gusto per la scrittura e per la frase efficace, per la metafora, cosa è una notizia e cosa una opinione, in certi casi.
Ma la relazione con quei giornali era nata prima, nell’infanzia. Leggere il giornale significava essere adulti, tipo guidare l’auto. Bisognava essere grandi per tenere il giornale in mano, sfogliarlo, gestirlo. Io da piccolo non ce la facevo.
Fra le immagini che definiscono cosa sia un weekend, nella mia testa
ci sono le mattine presto del sabato e della domenica passate a leggere
i giornali “con calma”. Lo faceva mio padre, lo faceva mia madre. Io li guardavo, poi spesso parlavano di ciò che avevano letto. Sapevano un sacco di cose.
Sentivo che erano grandi e potevano leggere i giornali, ma erano grandi anche perché leggevano i giornali. La differenza era sottile, ma vitale nella mia percezione. Non vedevo l’ora di poterli imitare. Attorno ai 12 anni la natura mi mise in condizione di replicare la postura di mio padre con giornale poggiato su gamba accavallata. La strada alla grandezza era aperta.
Ho visto la Repubblica di Scalfari e Mauro, leggevo Giannini quando era cronista dell’economia e credevo avrebbe fatto strada. Fu su Rep che sprecai le mie ferie agostane del 2007 per leggere della crisi economica, come in quelle precedenti avevo seguito l’ubriacatura per il blairismo e le note Timothy Garton Ash. Poi Paolo Rumiz e le foto a colori, Forattini in prima e le illustrazioni all’interno – certe volte bellissime – di quello di cui non ricorderò mai il nome.
L’Unità è stata invece il popolo dei fax e la vittoria del 1996 dell’ulivo, la reggenza Minniti-Folena, l’ubriacatura per il blairismo, una recensione di una antologia di Hugo Pratt che me lo fece scoprire, le videocassette. Fu grazie alle ore passate a guardare quei film che anni dopo riuscii a passare l’esame di semiotica dell’audiovisivo di cui non avevo capito troppo a livello teorico però coglievo gli esempi, ricordavo gli autori. E poi la videoteca come strumento di rimorchio all’università di un aspirante intellettuale ad una aspirante intellettuale:
– “Non hai mai visto Fragole e sangue?”
– “No, dai…tu sì!?”
– “Certo! Guarda, secondo me è fondamentale per capire una certa atmosfera delle contestazione giovanile e studentesca americana, ne sfata anche dei miti…se vuoi ce l’ho, quando ti va ce lo vediamo”
Alcune hanno anche detto sì.
Il rapporto sia con l’ultima Unità che con gli ultimi 10 anni di Repubblica si era logorato. Non ho rinnovato abbonamenti, ho trovato online singole fonti e qualche giornale da guardare sempre, facendo diventare i miei giornali sempre più periferici sulla mappa dei consumi. La dieta insomma è cambiata, più complessa e meno fedele. Come per tutti, credo.
Però Repubblica e Unità hanno definito la persona che sono oggi. Hanno influenzato le mie scelte formative e lavorative. C’è stata, di fondo, una connessione sentimentale. Mi mancano e mi manca già da qualche anno quella confortevole sensazione di avere un punto di riferimento tanto autorevole quanto semplice da rintracciare come Rep e Unità sono stati negli anni della mia primissima giovinezza.
Quel che so è che adesso, però, ogni mattina leggo online un po’ di cose e ascolto la rassegna stampa. So che nel weekend la mattina mi alzerò presto, andrò al bar, ordinerò un caffè, un cappuccino e un cornetto e me ne starò a leggere giornali per un almeno un’ora. Resto convinto che sia un modo per essere grandi anche se non ci sono più i miei giornali. E resta anche una buona scusa per non parlare appena svegli.