E noi a trattenere e trascinare, ancora e ancora

Per molto tempo ho pensato che – in questi anni, in questa parte di mondo – la vera libertà fosse la volontà di sottrarsi alla convenienza.
Non difendere la propria parte, non fare il soldatino della propria piccola patria fatta di bisogni e furbizie.
Come se la libertà fosse il rinunciare a ciò che conviene per riuscire a confondere gli altri, per non essere un do ut des, per guardare il mondo dal bordo e non partecipare alla mischia. Come guardare la battaglia di Anghiari da lontano.

Mi sbagliavo.
E non perché valga davvero la pena difendere la propria parte, definire ciò che personalmente ci conviene. No, proprio no. Semplicemente ho imparato – ma ancora non ho capito  – che quella non è una libertà.
La ricerca della convenienza è solo la condanna a cui ci votiamo nel momento in cui nasciamo.

La vera libertà è il non avere una storia ed è impossibile non avere una storia.

Tutti ne abbiamo una che ci definisce, che ci condanna, che ci lascia perplessi.
E sta lì, come una rete poggiata sulle spalle che raccoglie tutto quello che ci capita. E noi a trattenere e trascinare, ancora e ancora.

E se questa storia a strascico ci lega a tutto ciò che facciamo, la sola via per simulare un po’ di libertà – un po’ di autonomia di senso dal contesto – è il modo in cui ce la raccontiamo questa storia.

Il tema è cosa vale la pena raccontarsi?
Come?

E forse non dovremmo dircelo cosa vale la pena raccontare ma raccontarlo e basta.
E bene. Sperando di superare in fascino la convenienza.