Una delle chiavi del successo 5 Stelle sta nella capacità di essere un partito multi-leader. Non più un uomo solo comando che incarna linea politica, di governo e sistema valoriale ma una rosa di profili, chiamati a coprire ruoli e pezzi di elettorato diversi.
In principio fu la dicotomia Grillo-Casaleggio Senior, alla quale si è sommata quella Di Maio-Di Battista (con l’arrivo di Casaleggio Jr a prendere il posto di nume tutelare del padre). Oggi al governo, il sistema tetrarchico è finito per inglobare altre due figure: Fico alla Presidenza della Camera e quello di Conte alla guida del Governo.
Ed è interessante vedere come queste “coppie” siano funzionali al consenso politico del Movimento da un punto di vista politico e narrativo.
Beppe Grillo il caldo, Casaleggio Senior il freddo. Il primo urlava vendetta contro il sistema, il secondo la organizzava lontano da scenari pubblici quel tanto che basta per farlo divenire famoso “per quel che non dice”. Mettono insieme delusi, qualche matto, anti berlusconiani, giustizialisti e un pezzo di persone che da tempo non andavano più a votare.
Nel 2013 il Movimento cresce e ha bisogno di nuovi volti per “raccontare” l’arrivo in Parlamento. Ed ecco che la coppia alfa partorisce i suoi eredi: Luigi Di Maio l’istituzionale, Di Battista il terzomondista. I due “giovani” (come può un movimento rivoluzionario essere guidato da due over 60?) tengono insieme la voglia di vendetta dei ceti piccolo-borghesi e l’intransigenza movimentista di sinistra. In sintesi raccolgono, rispettivamente, i consensi di quegli elettorati moderato-conservatore e sinistrorso-progressista che in quel 2013 si possono unire su un punto: fare fuori quella classe politica che negli ultimi 20 anni ha disatteso le promesse e si è barricata nei palazzi.
E in 5 anni di opposizione la multileadership si rivela una tecnica molto efficace. Se ai 5S viene chiesta una posizione su un argomento, uno dei leader esplicita una linea politica coerente con il suo ruolo e collocamento all’interno del movimento. Se non funziona – o si creano malumori fra i sostenitori – scendono in campo gli altri 3 leader che precisano, spostano l’asse della discussione, ridefiniscono i termini della questione. Ed ecco che nel giro di qualche giorno la polemica rientra senza danni per il consenso complessivo del movimento. E, questo dialogo fra i leader permette di simulare/rappresentare il dibattito che esiste fra i sostenitori del M5S. Rinforzando ogni volta il patto che permette l’esistenza delle diverse leadership: la fedeltà al Movimento e al suo popolo, a “l’uno vale uno”.
Vinte le elezioni e per reggere il peso del governo e dell’alleanza con Salvini c’è bisogno di nuovi attori con meno storia pubblica e più libertà d’azione: la coppia Fico – Conte.
Fico, con un passato a sinistra, a fare il garante delle istituzioni (in ottica anti-lega) e Conte, telegenico accademico e profilo moderato, diviene la faccia da mettere sulle mediazioni necessarie con la Lega.
Nel 2018, quindi, il M5S può contare su 6 volti, con funzioni diverse e gerarchizzate, in linea con la storia individuale dei leader.
Casaleggio Jr è il deus ex machina. Si manifesta attraverso le scelte e la strategia, ma non per sua bocca. Lavora dietro le quinte e tiene le redini del movimento attraverso il Portale Rousseau.
Grillo è il padre severo con gli avversari e premuroso con i suoi leader, non detta (più) la linea politica ma rinfranca i cuori dei sostenitori del movimento, corre in soccorso degli altri leader rinfocolando la rabbia del suo popolo verso la casta quando le cose si mettono male.
Di Maio è il governativo che è riuscito a fare il governo. ha un super dicastero da guidare ed oggi è il primo responsabile della linea politica del M5S. Il suo vero sfidante è Salvini
e dovrà dare uno stile istituzionale al linguaggio grillino.
Di Battista è il battitore libero – il panchinaro d’oro – che in attesa del suo turno può sparare a zero senza il peso delle istituzioni iniettando nel dibattito politico quel tanto di approccio irriverente e selvaggio utile a rappresentare l’intatta purezza delle “forze animali” che hanno fatto grande il movimento. Inoltre Dibba era uno che – per sua stessa recente ammissione – “picchiava duro su Salvini” e quindi, se proprio Di Maio non dovesse riuscire nell’Impresa, c’è un leader del movimento – non corrotto dal governo – pronto a prenderne la guida dopo una eventuale fine negativa dell’asse con Salvini.
Roberto Fico è il punto di riferimento della parte sinistra dei 5S. Salvini attacca gli immigrati, lui incontra medici senza frontiere. E non come scelta politica personale, ma stando sempre attento a sottolineare che quella è la linea dello Stato perché lui è la terza Carica dello Stato.
Infine Giuseppe Conte. Senza storia politica e senza esperienza governativa, è il leader in fase di lievitazione. il Premier Conte è del Movimento 5 stelle, ma non troppo. Se sbaglia è facilmente sacrificabile, se fa bene è la dimostrazione che il Movimento è diventato adulto. L’assenza di un passato nella politica gli permette di avere molto credito sul futuro e di farsi carico delle mediazioni definendo solo ex-post il suo personale profilo politico.
In realtà ci sarebbe un settimo leader, ed è Travaglio. Giornalista, ideologo e – quando necessario – fustigatore del Movimento, che negli anni ne ha accompagnato la crescita facendo da sponda nel sistema mediatico. Il suo non essere strettamente organico al M5S è la garanzia per entrambi che la collaborazione sarà ancora lunga e probabilmente fruttuosa.
Insomma, molti leader, molto onore si potrebbe dire.
E questa struttura multileaderistica sembra essere una delle intuizioni più profonde del Movimento. In anni in cui abbiamo visto nascere e morire molti leader a cui si sono legati i destini di intere comunità (PD, FI, Lega) i 5S hanno trovato la chiave per gestire la natura fasica del consenso politico: un insieme di leader che garantiscono la salvaguardia e l’unità del Movimento.
Ora vedremo come questa organizzazione del potere interno al Movimento risponderà alla prova del 9 con il Governo. Ma una cosa la si può già affermare con sicurezza: se Di Maio fallisce il M5S non fallirà con lui perché ci sono altre figure già pronte e formate a prenderne la guida. Cosa che manca disperatamente a PD, FI e forse alla stessa Lega.
Ma questa idea del movimento multi-leader è una trovata di Marketing di Casaleggio? Una scelta organizzativa che nasce dall’osservazione dei competitor diretti? L’aver in introiettato e aggiornato la lezione dei grandi partiti di massa che miscelavano sapientemente centralismo democratico, allevamento della futura classe dirigente e dibattito correntizio? Vedremo se la storia risponderà alla domanda.
Di certo la presenza di tanti leader ha permesso a un movimento dai contorni valoriali e programmatici indefiniti di divenire, aggiustamento di linea dopo aggiustamento di linea, la prima forza politica del Paese.
Ora la domanda è se questa nuova forma di comando e di rappresentanza del M5S spingerà gli altri soggetti politici a interrogarsi sulla propria forma organizzativa e se la logica “di un solo uomo al comando” e del premier/segretario sia oramai solo un souvenir degli anni ’90/’00 da mettere accanto alla foto con Blair o Sarkozy.