Oggi nasce il governo Lega-5Stelle e qualcuno parla di alba della terza repubblica. Nello stesso giorno so per certo che, dopo anni, non mi occuperò più di marketing politico – almeno per qualche tempo – e lavorerò ad altro.
E allora faccio un augurio alla politica, al dibattito pubblico (e anche a me stesso) e cioè che nei mesi che abbiamo davanti le parole tornino ad avere un peso e un senso vincolante per chi le pronuncia.
Gli 88 giorni di consultazioni hanno dimostrato in modo evidente un tratto specifico della politica di questi anni: i pensieri lunghi sono assenti e sono stati sostituiti da un tatticismo esasperato fatto di frasi roboanti a favore di telecamera. Affermazioni che però non sono mai diventate né impegni, né tendenze di medio periodo.
Solo “pose e posizioni” da consumarsi nel giro di qualche ciclo di notizie.
La contraddizione è stata praticata – di volta in volta – come pragmatismo, segno di intelligenza, coraggio.
Viene invece da pensare che la tattica politica priva di strategia (e quindi di una visione complessa della realtà e dei suoi obiettivi evolutivi) sia un po’ come l’inconscio, non conosce negazione.
E allora vale tutto: dalla rottamazione che salva De Luca e la sua stirpe, al populismo anti-tecnici che fa divenire premier e ministri persone non elette e che hanno una storia di tecnici e burocrati. Definirsi democratici ma gestire un partito come un’azienda di famiglia, costruire un odio sistematico verso l’Europa e la sua unità per poi costruire un governo per piacere, in primis, all’Europa.
Poi un uso costante di parole piccole piccole, come le idee che le sorreggono:
Gufi, Ruspa, Honestà!1!, pop-corn. Paroline sempre infarcite da sentimentalismi dell’età dell’acne: “sono arrabbiato”, “sempre con il sorriso”, “non ci fermeranno”, “avanti”.
Per un lungo periodo ho creduto che il non piegarsi al gioco del botta e risposta e del commento istantaneo e pungente sarebbe potuto essere solo il frutto di un cambio di passo verso una politica più visionaria e rispettabile allo stesso tempo.
Inizio a pensare che sia il contrario.
Non entrare più nel teatrino mediatico-politico è il primo passo per rimettersi a pensare. Un nuovo senso delle parole nasce oggi da un silenzio-maggese.
Spero che le intelligenze collettive dei partiti e movimenti trovino in questo approccio alla “less is more” la forza di non inseguire più gli avversari, liberarsi dalla voglia di screditarli e iniziare a parlare di sé e di idee capaci di divenire linee guida che durino anni se non decenni. Parlare meno, fare meglio (politica).
Ma i vizi sono duri a morire e quindi vi lascio con qualche parola che credo sia utile far rientrare nel vocabolario dei pensieri lunghi.
Altruismo (istituzionale)
Per anni le riforme, da quelle costituzionali a quelle elettorali, sono state portate avanti con la logica furba e micragnosa di fottere l’avversario per provare a relegarlo il più a lungo possibile in una posizione non dominante, modificando in corsa le regole del gioco. Il Rosatellum ne è solo l’ultimo esempio, ma potremmo parlare della riforma del titolo V, del Porcellum, del sistema contributivo e delle tassazioni.
Che si torni a giocare serio e pulito. Chi ha il potere di riformare lo faccia sapendo che la politica per sua natura è fasica e modificare le regole del gioco secondo le convenienze del momento, oltre a mettere nei guai il Paese, è una modalità che si ritorce contro gli autori della forzatura e il loro egoismo. Meglio tornare ad avere rispetto di tutte le forze in campo e dei loro elettori.
Internazionalismo
Parliamo di Europa ed europeismo. Va bene, benissimo. Ma il tema sta nell’acquisire una logica di vasta portata che superi anche le giaculatorie positiviste e giustificazioniste sulla globalizzazione.
La partita delle ingiustizie non ha confini. I poveri italiani sono come quelli greci, inglesi, americani, spagnoli e tedeschi. Pensare a nuovi diritti e nuovi ascensori sociali capaci di premiare anche il merito significa occuparsi non del meridione, non delle zone interne, ma di una ingiustizia che abbraccia quel mondo occidentale che ora si divide su dazi, interventismi e sovranismi.
Oggi un’idea politica per essere tale deve essere capace di mobilitare oltre i confini di una città, di una regione e di una nazione. Non parliamo più “del Paese”, ma della sofferenza di milioni di persone che abitano il nostro spelacchiato occidente. Credo che questa sia la chiave per riattivare anche un europeismo di popolo, con buona pace della visione macronista di un’Europa che a parole risplende di libertà e unità, ma che nei fatti lascia morire gli ultimi a un metro dai suoi confini.
Autorevolezza
Sono nati così tanti leader in questi ultimi anni che viene quasi da pensare che non ne sia nato nessuno. Tutti con un difetto, l’assenza di autorevolezza. Qui torniamo al punto di partenza, le parole pronunciate senza peso. Se perdo vado in Africa, Se perdo mi ritiro a vita privata. Leader che, in totale autonomia, si danno date di scadenza che disattendono con scientifica precisione producendo quella politica dell’eterno ritorno che consuma la loro credibilità ancor più della pazienza dei cittadini-elettori.
Insomma, basta stronzate
Questo è il mio proposito principe per i prossimi mesi.
Spero sia anche quello della politica italiana.
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PS
Se avete voglia di attaccarvi all’espressione “pensieri lunghi” e darmi del passatista berlingueriano non avete capito il senso di questo post. Soprattutto a voi vanno i miei migliori auguri di una rinascita intellettuale.