Torno a casa per votare.
In un angolo vicino la stazione mio padre m’aspetta in auto fumando.
Lui, come me, ha dedicato gli ultimi 45 giorni di vita a una campagna elettorale. Lui lo fa per scelta politica, io per lavoro.
Nel traffico lo guardo sedendogli di fianco: le occhiaie, spettinato, barba incolta e telefono nella mano destra. La sigaretta accesa fra le dita della sinistra.
Mi giro, guardo verso lo specchietto retrovisore e mi rivedo: le occhiaie, spettinato, barba incolta e telefono nella mano destra. La sigaretta accesa fra le dita della sinistra.
Io e mio padre uguali nello stato fisico, speculari nelle posture, in silenzio in attesa dei risultati.
Anni fa ero certo di una sola cosa: sarei stato diverso da lui, da quella vita, da quell’aspetto.
Oggi – a 33 anni – capisco che buona parte delle mie certezze cresce proprio in questa somiglianza atavica e discreta, in questa somiglianza minuta e costante che non si è mai opposta all’esistenza delle nostre, altre, differenze.