Far capire che lavoro fai. Sembra un ossimoro, ma per una persona che fa marketing e comunicaizone politica è una sfida quotidiana in Italia.
Per la prima volta dopo molto tempo, parlando con il parentado largo – quel tipo di persone che incontri a matrimoni, battesimi e funerali – m’hanno anticipato: “sei quasi un regista, in pratica: decidi tu come mettere su lo spettacolo”.
Ci ho pensato e ripensato sul “regista di campagne”, ma la verità è che il ruolo utile a capire sarebbe uno meno noto, ma molto più calzante: il produttore.
Il regista ha, almeno in via logica, il controllo di tutti i linguaggi che compongono il testo filmico, ma non ha variabili indipendenti rispetto al testo.
Un consulente politico, come il produttore, sì.
Anzi, il lavoro è ridurre ad ordine quelle variabili per far lavorare al meglio il regista. L’abilità di producer e spin, infatti, è fare in modo che l’insieme di quei linguaggi che costruiscono il testo filmico o il macromessaggio della campagna siano efficaci, convincano qualcuno ad andare al botteghino o infilare una scheda in un’urna con una croce e/o un nome preciso.
Il produttore e il consulente devono quindi individuare le condizioni migliori per creare un testo che funzioni e crei consenso rispetto ad un dato contesto socio-economico. Per farlo le domande a cui rispondere sono poco “arty” e molto concrete: a chi parlare e come, cosa dire, quando, quali sono le aspettative da soddisfare, quale l’innovazione attesa, quanto investire, come reperire uomini e fondi.
Il regista, lavorando sui linguaggi, si confronta sostanzialmente con il problema artistico, estetico e narrativo proprio delle settima arte.
Il produttore, come lo spin, in sitensi si pone la questione della funzionalità narrativa per modificare la percezione della realtà.
Una realtà, tutta da costruire, che deve necessariente produrre consenso e rappresentanza. O fa questo o sta sbagliando. Non ci sono crucci estetici o artistici che tengano. Il linguaggio per lo spin e il porduttore non è il fine, come per il regista, ma lo strumento.
Questo lo ha detto Sorkin con due telefilm. In the West Wing, Josh – interpretato da Bradley Whitford – è il vice capo del personale, l’uomo addetto alla strategia elettorale, costruttore del macromessaggio di campagna, gran produttore della linea politica di Bartlet. Mai visto Josh discutere di grafiche, discutere di uno storyboard di uno spot o simili. I microlinguaggi sono per i tecnici, è la coerenza e pertinenza di questi che deve essere ideata, vagliata e garantita dal consulente (e dal produttore).
Lo stesso Bradley Whitford, in un’opera successiva di Sorkin – Studio 60 – non fa il regista, non fa l’autore – anche se su quelle competenze ha enorme peso e intuito – ma il produttore. Quello che partendo dalla realtà dei fatti (dati di ascolto, l’analisi dei competitor, punti di forza e di debolezza del proprio team) fa girare la macchina al meglio, fa salire gli ascolti, convince gli sponsor o li tiene a bada, evita che l’autore s’ammazzi e che gli interpreti degli sketch sputtanino il buon nome del programma.
C’è un’ultima e sostanziale differenza fra il regista e il produttore che rinforza la vicinanza del consulente politico al secondo profilo.
Quando un film è un capolavoro il regista sarà osannato assieme ai protagonisti. Pochissimi, forse solo gli addetti ai lavori, ricorderanno il produttore. Lo stesso accade in politica.
Il candidato – che non è solo l’attore principale della campagna visto che gli spetta anche l’ultima parola su tutto: dal budget alla cravatta – sarà ricordato per sempre come il grande autore di una nuova stagione politica (e in alcuni casi di nuova era per il Paese: Mitterand, Clinton, Blair, Obama), ma moltissimi cittadini non ricorderanno i loro uomini (Seguela, Carville, Campbell, Plouffe e Axelrod). Forse è proprio questa la riporva che quegli spin doctor hanno fatto un gran bel lavoro.
Da produttori-spin doctor hanno messo in condizione il regista-candidato di raccontare una storia bellissima perchè efficacissima.
E se è stata efficace è soprattutto merito loro.
Insomma, i produttori non ritireranno mai un Leone d’Oro o un Oscar, ma molti andranno da loro per vincerne uno.