l’eterno oggi italiano

“We are constantly on trial
It’s a way to be free” 

Bill Callahan – River Guard

Dall’insediamento del governo Monti ad oggi molte cose sarebbero dovute cambiare.
E non solo per quel che riguarda la tenuta economica dello Stato,  il debito e lo spread. Sarebbe dovuto cambiare l’agone politico che, libero dalla responsabilità di governo, avrebbe dovuto rispondere responsabilmente alla richiesta di innovazione politica che arrivava (e arriva) dai media e dalla società (autodichiaratasi civile).

Questi ultmi giorni ci confermano che invece nulla è cambiato. Anzi, tutti i timidi tentativi di rinnovamento,  sia all’interno dei singoli partiti che nella modalità di gestione del rapporto governo-parlamento, si sono sciolti sotto il sole romano.  Insomma, dall’insediamento del governo  Monti siamo caduti in una sorta di eterno oggi italiano.

Il Governo è ancora alle prese con Spread, Merkel e Debito, i tre grandi mostri che hanno spodestato Berlusconi (aiutati da qualche ninfetta di troppo). Con questo non voglio dire che Monti nulla abbia fatto, anzi. Resto convinto della necessità di questo governo.  Ma è un governo di emergenza che è chiamato ad aggiustare l’oggi -evitando che il domani sia del tutto compromesso. Ma come ha ammesso lo stesso Ministro della Coesione Sociale Barca: “spetterà ad un governo eletto dare una politica d’orizzonte allo stato italiano”.

Ma come può la politica disegnare un futuro orizzonte per lo Stato se gli stessi partiti  non sono in grado di tracciare un’ipotesi di domani che faccia seriamante i conti con quella domanda di innovazione che è rappresentata dai dati di fiducia inesistente nei partiti e dall’astensione prevista ad oggi sul 2013.

Ma è  nel campo partitico che il futuro e il passato scompaiono per fondersi in un oggi continuo che, dopo mesi e mesi di retroscena su nuovi partiti, nuovi leader, nuovi movimenti ha prodotto la segunete situazione:

il Pd è invischiato nelle solite giaculatorie su diritti civili, primarie e politica economica. Bersani vs Renzi, forse ci sarà finalmente quello scontro che aspettiamo da 3 anni.
Poi ad esser un po’ cattivi si può anche pensare che  Bersani e Renzi non stiamo esattamente accelerando la corsa verso le fatidiche primarie perché  se devono essere aperte si dovrebbe capire aperte a chi.
Il PdL a trazione Angiolino è stato un siparietto durato qualche mese, assieme all’idea delle primarie, del partito moderato e liberale, slegato dalla Lega che guarda con rinnovata forza al PPE.  Poi Silvio ha fatto un fischio, la ricreazione è finita, ha ritirato fuori quell’amuleto che per lui è Forza Italia e  Angelino ci ha spiegato che  prima di essere un politico è un uomo e quindi per riconoscenza  si fa da parte e sostiene la candidatura di Berlusconi a premier.

Oggi arriva anche Bossi  a bacchettare Maroni, lo definisce un piccolo cane che abbaia ( dalle mie parti si direbbe “cacciuttiello” o “can ‘e cancell”).
Infine l’UDC che si crede sempre il più furbo di tutti, ma alla fine è dal 2008 che si ritrova fuori dai giochi, prima grazie al culto dei due forni, poi si è convertito ad un rito di strettissima osservanza montiana che lo ha inchiodato inesorabilmente al 6% perdendo l’opportunità di divenire quel collettore delle tanto chiacchierate nuove formazioni moderate e liberali pronte a scendere in ferrari nell’agone politico.  If, con Montezemolo, ha fin troppo tentennato per sembrare ad oggi la soluzione, l’inizio di un altro futuro per la politica italiana.

Quindi i partiti vivono da mesi un lungo oggi che, iniziato con qualche promessa di rinnovamento, continua rivelando tutta l’incapacità di spezzare questa tempistica circolare che avvita la partitocrazia sempre di più nelle dispute interne e la slega da un decente rapporto con la realtà.
I media rafforzano  questo eterno oggi italiano riempiendo pagine e pagine con scenari futuri, appelli all’azione e ponderazioni sondaggistiche che – poco dopo – sfumano, svaniscono, si dileguano.   Infine i parlmentari  più filo-montiani  chiedono il sequel.  Forse loro  hanno compreso il problema del produrre innovazione politica, ma non vogliono risolverlo ( o sanno che questi partiti non sono in grado di risolverlo) e perciò prendere ancora tempo sembra una soluzione accettabile, il male minore.

Ma possiamo continuare a rinviare il fatidico momento di un’Italia governata (magari bene) da un governo votato, ma questo non renderà meno traumatica la scelta dell’innovazione. Perchè se – dato un sistema inceppato e i suoi attori – non è possibile dedurre un’evoluzione, allora il cambiamento va indotto. Il governo Monti è nato proprio da questa considerazione applicata al sistema economico-finaziario del nostro Paese. Ora – la stessa osservazione – va allargata al sistema partitico italiano.

I partiti, presenti e futuri – per offrire una visione credibile del paese che verrà – devono non solo ricostruire una credibilità inesistente nell’eterno oggi, ma parlare a quel numero impressionante di indecisi.

Per farlo ad oggi credo esistano pochi modi, più o meno riassumibili così:

1) La miglior scelta strategica è l’abbandono dei tatticismi:
il lungo oggi italiano ha stancato le perosne che sanno benissimo che i partiti esistenti sono impegnati da anni in politiche autocoservative e che alla scommessa  e al rischio, hanno preferito l’attesa passiva di chi sta alla finestra aspettando la pioggia e poi dice:” io volevo uscire, ma poi è venuto a piovere”.

2) Cedere privilegi  e potere per acquisire credibilità:
è banale, scontanto, fin troppo grillino per i miei gusti, ma tant’é. La storia ogni tanto esige che il potere si ridimensioni e soprattutto divenga meno appariscente per essere rispettabile. Già Nella Firenze Medievale vennero imposti regolamenti per ridurre lo sfarzo, la ricchezza e l’esibizione del potere. Questo oggi significa  anche basta con giochetti sulla legge elettorale, basta trattative schifose in stile CDA Rai, trovare una logica sui finanziamenti dei partiti.

3) Chiedere scusa (che non significa essere deboli, ma avere coscienza delle proprie azioni):
i politici non possono credere che l’effetto verità si possa solo applicare “ai conti” o alla recessione. L’effetto verità positivo si ottiene se – qualcuno che è già da anni classe dirigente del Paese – ammette una corresponsabilità gestionale in quel passato padre di questo eterno oggi.

4) Se non proprio ideologia, almeno un racconto: 
le ideologie, intese come agglomerati di dogmi, di certo non hanno spazio. Poi un giorno disquisiremo sul senso etimologico e scopriremo che, forse, avere un sistema di lettura della realtà ordinato e capace di aggiornarsi al mutare dello scenario sarebbe utile. Ma se non siamo pronti per questo, di certo vanno rintracciate nuove soggettività a cui parlare, nuovi nemici da combattare, nuovi modi di essere la politica che si vuole rappresentare. Tutta l’economia del sapere cerca una rappresentanza politica: dai designer alla ricerca biologica, passando dai fornitori di servizi fino all’artigianato di qualità; è un blocco sociale predominante quantitativamente? No. Ma lo diverrà. Questo implica centralità alla formazione, reale sistema di flessibilità gestionale del lavoro, rintracciare il nemico in elementi tanto generici quanto presenti: burocrazia, Banche che non fanne le banche, tutti quei luoghi che si sottraggono a logiche meritocratiche.

5) avere più rispetto del tempo:
la politica italiana, come tale, riesce a comunicare un senso di attesa nei cittadini senza produrre alcuna aspettativa. E più l’attesa si allunga, più lo sconforto della cittadinanza si tramuta in rabbia sorda. Sprecare il tempo è una grave colpa, perché il tempo è tutto quello che abbiamo per provare a dare un senso al nostro esistere. Se lo sprechiamo stiamo sprecando noi stessi. Ma se un singolo individuo può farlo in libertà e coscienza, non possono farlo partiti  nati pochi anni fa e che sembrano già elefanti alla ricerca di un posto buono dove morire.