La nuova campagna del PD e i suoi limiti. Politici.

Ogni nuova campagna di comunicazione del PD produce dibattito in rete. Questo è certo un bene. Puntuale, però, arriva la polemica: Giovanna Cosenza VS i creatori dei manifesti. Polemica che però  mi sembra portarci fuori strada. Non è la bandiera o l’uso e l’interpretazione che se ne fa, né semplicemente la disposizione dei grassetti o neretti. I testi dei manifesti sono estratti del discorso di Bersani alla direzione nazionale dell’8 giugno scorso. Un discorso che avrebbe voluto rappresentare una svolta, un mettersi al centro dell’attenzione e rivitalizzare la credibilità del PD nonstante Monti non tiri più e il racconto positivo che si fa in giro dell’armata grillina.
Il discorso non ha funzionato perchè gli snodi non sono credibili o sbagliati.  Da qui, a mio avviso, la debolezza dei manifesti che ne riprendono le parole d’ordine.

Un nuovo orizzonte? dialogare con sindaci, singoli e sindaci è una novità? No, non lo è. Almeno dal 1994.
Tocca a Noi!
un grido disperato di occhettiana memoria (equivalente della gioiosa macchina da guerra che precipitò nel burrone del berlusconismo fascinoso). Democratici e Progressisti? la legge elettorale che anche il PD non ha voluto cambiare invalida la prima parola. Le posizioni di Fioroni e dei blue dogs del PD sui diritti civili invalidano la seconda. E questa ultima riflessione vale anche per il manifesto in cui campaeggia la scritta: Scelgano i cittadini.
Accettiamo la sfida.
quale, quella delle primarie? Non dovrebbe essere una sfida, ma la mera – e magari automatica – applicazione del motodo. Per chiudere con l’Italia, l’Europa, la crisi che dipinge non un orizzonte, ma uno stato di fatto che tutti viviamo e che nel sottotesto parla della prossima legislatura per salvare l’Italia. Spero vivamente che se abbiamo sospeso la democrazia e ci facciamo governare da dei tecnici l’obiettivo, per il PD, sia salvarla entro questa legislatura. Alla prossima – magari – di rimettertla in piedi forte e serena.

Insomma, difficile parlare di comunicazione politica e della sua efficacia senza entrare nel merito della linea politica, quella narrata e quella esperita. Se quest’ultima è debole e contraddittoria, la prima deve tenerne conto, evitando toni eccessivamente assertivi, a meno che non si creda che la comunicazione sia soltanto un abito da mettere al politico o partito di turno senza interrogarsi su chi è, la storia che ha e quel che dirà durante la campagna di comunicazione.

Il punto è quindi la credibilità del messaggio rispetto al mittente. I manifesti – di cui non discuto né il design né l’uso della bandiera – sono deboli per un sol motivo: non sono credibili se connessi al PD.

Ora l’agenzia avrebbe potuto scegliere di complessificare il messaggio, iniziando con un teaser che (certo dopo “ti presento i miei” ci voleva tanto, troppo coraggio)  invece di lavorare su frasi del leader, provasse a portare il PD fuori dalla mischia della partitocrazia egomone e oramai un po’ tetra.
Come?
Provando ad avviare un processo di catarsi e rigenerazione presso l’opinione pubblica. Soprattutto se l’obiettivo della campagna non è tanto sostenere il PD, ma la candidatura del segretario nazionale alle primarie di coalizione.
In sintesi, l’attuale campagna avrebbe avuto più forza se fosse stata preceduta da delle scuse  a chi si riconosce nel centrosinistra o nel PD.
Scusa per la titubanza sul Porcellum.
Scusa per non essere stato in grado di offrire una ricetta alla crisi che non fosse quella di delegare al dualismo Letta-Fassina una lettura della relatà.
Scusa per aver gestito le primarie come un problema.
Scusa per non aver saputo che dire sulle libertà civili.
Scusa per aver atteso che Berlusconi fosse cacciato non dal PD, ma da un ottantenne, ex-capo della destra PCI, leader della più folgorante minoranza che un partito ricordi: quella migliorista (e napoletana) del PCI di cui fin troppo poco è rimasto in campo, a partir dal coraggio di leggere la realtà non per come dovrebbe essere, ma per com’è. Chiedere scusa per poi rilanciare le parole d’ordine di cui scrivo più sopra forse avrebbe dato il senso di una reale ripartenza.

Non discuto dell’eleganza e qualità tipografica dei manifesti, ma temo che non sarà nella tecnica e nel metodo di progettazione del design che un partito ed il suo leader potranno ri-costruire un’identità che non sia solo visiva (tenendo  anche conto  dei diversi filoni che i materiali di comunicazione del pd hanno seguito e seguono  su temi e campagne diverse, che spesso vengono diffusi in contemporanea).  Se si deve sperimentare correndo il rischio dell’errore non sono i manifesti del PCI l’esempio, perché se il PCI  ha avuto una qualità rispetto al PD è l’identità tanto monolitica quanto stratificata nei simboli e nei riferimenti. Dalla fase filosovietica, all’esperienza dell’eurocomunismo poi del compresso storico, dal (tormentato) appoggio alle grandi battaglie civili (divorzio e aborto in primis) alla questione morale.  Insomma, l’identità visiva è figlia di una identità politica e non la si può importare dal passato senza correre il rischio di produrre un messaggio un po’ freddo e difficilmente credibile.

Spero vivamente che si continui a sperimentare ed innovare per il PD, e che il PD scelga giovani designer e comunicatori per il suo futuro comunicativo. Spero, in egual misura, che i tentativi di elaborazione della migliore tradizione comunicativa politica e italiana seguano il principio di alcuni musicisti jazz: imparare tutto quello che c’è stato prima per dimenticarselo subito. E iniziare a suonare qualcosa di completamente nuovo.